Tennis E Mental Coaching: Quanto Conta La Fiducia In Sé Stessi Per Un Tennista

 

Tennis E Mental Coaching: Quanto Conta La Fiducia In Sé Stessi Per Un Tennista

In un match di tennis l’avversario nella nostra mente spesso è più forte di quello dall’altra parte della rete. Per questo ogni tennista professionista ha bisogno di un supporto psicologico, che solo un mental coach può dare. Qui vi spieghiamo come.

Quanto conta la fiducia in sé stessi nel gioco del tennis

Il tennis è una disciplina sportiva in cui l’aspetto mentale assume molta rilevanza, considerando anche le modalità di svolgimento di una partita, con le interruzioni tra un punto ed un altro e le pause al cambio campo. Per questo, più che in altri sport, la figura del mental coach assume nel tennis un’importanza fondamentale.

Le origini

In molti sostengono che il primo testo che ha unito coaching e tennis sia stato “The Inner Game of Tennis” (in italiano “Il gioco interiore del tennis. Come usare la mente per raggiungere l’eccellenza”) di Tim Gallwey.

Pubblicato nel 1972: era il primo libro in ambito sportivo che non parlava di tecnica o di preparazione fisica bensì della parte interiore del gioco, l’Inner Game appunto, ovvero degli ostacoli che ogni tennista incontra nella sua mente e di come superarli.

Due livelli di gioco

Gallewey nel libro affermava che “l’avversario nella nostra mente è molto più forte di quello dall’altra parte della rete”, definendo quindi due livelli di gioco: quello esterno, dove esiste l’avversario che si trova al di là della rete, e quello interno, dove c’è un altro avversario, spesso molto più difficile da affrontare, che si nasconde nella nostra mente.

Gallewey applicò poi il metodo e gli strumenti dell’Inner Game in altri sport e successivamente anche in ambito aziendale.

I casi celebri di coaching

Il mental coaching ha ampia diffusione nel tennis professionistico. Sono molti i campioni che hanno chiesto l’aiuto di mental coach: a partire da Andre Agassi che, come scrive nella sua celebre autobiografia “Open”, si fece aiutare da Anthony Robbins, uno dei coach più famosi del mondo.

Serena Williams ha avuto per molti anni il supporto di Patrick Mouratoglou, soprannominato “Il mentalista” e autore del bestseller “Impara a vincere”.

Anche Roger Federer all’età di 17 anni ha lavorato con un mental coach sul suo carattere ribelle, che rischiava di fargli sprecare il suo enorme talento e Novak Jodovic nel corso della sua carriera ha cambiato molti mental coach per trovare una giusta correlazione tra corpo e mente.

Come può aiutare un mental coach

Sono molti gli aspetti e le problematiche gestite dal mental coaching il quale, è sempre necessario ribadirlo, non è sostitutiva del coach tecnico ma è di sostegno.

Innanzitutto la capacità di mantenere la concentrazione per la durata della partita, in particolare in quegli spazi “vuoti” tra un punto e l’altro, dove nella mente del giocatore potrebbero fare capolino pensieri di tutti i tipi, generano emozioni come ansia, paura, rassegnazione che possono influire negativamente sul gioco. Il coach aiuta il giocatore a conoscere l’ansia per poi poterla superare.

Inoltre stimolare la motivazione e la fiducia in sé stessi, farsi le giuste domande (c’è una differenza enorme tra il dirsi “Metti la prima” piuttosto che “Non fare doppio fallo” se si è al servizio) e capire quali sono i punti veramente importanti da vincere.

Probabilmente dopo aver letto questo articolo non vedrete più un match tennistico con gli stessi occhi.